Appello di Paolo Cagnetti per un turismo consapevole dello choc climatico

Dal Corriere delle Alpi del 6 agosto 2107

Lo scrittore “eremita” Paolo Cognetti lancia l’appello per un «turismo gentile» consapevole dello choc climatico

«Vera montagna senza il business neve»

PADOVA   Il suo barbarico «Yawp» risuona sopra le valli «chiuse in alto da creste grigio ferro» e in milioni di menti, grazie ai suoi racconti. Paolo Cognetti ha 39 anni, il pelo fulvo e l’animo quieto. Milanese di nascita, montanaro di adozione. L’hanno definito lo «scrittore eremita», perché vive in una baita a 1900 metri di altitudine. Ma lui fugge le etichette e anche la solitudine. Tra i boschi, ha scritto «Le otto montagne» premio Strega 2017.

Ieri era ospite a «Una montagna di libri» in una Cortina d’Ampezzo ferita da una colata di detriti che ha invaso case e auto, uccidendo una donna del posto. Una montanara, come Cognetti. «La fragilità appartiene all’uomo non al paesaggio – chiosa l’autore -. La montagna che crolla non soffre: il paesaggio

Ma oggi questo mondo duro e fragile fa i conti anche con uno choc termico. «La fragilità appartiene a chi la montagna la abita e sono arrabbiato con il fatalismo di chi dice che eventi come quelli appena accaduti sono imprevedibili e fuori controllo. Abbiamo la responsabilità di occuparci dei cambiamenti climatici che abbiamo provocato. Stiamo andando verso un clima tropicale di temporali fortissimi e quantità d’acqua mai vi

È nostro dovere capire, prevedere, mettere in sicurezza». È una questione politico-gestionale o serve una nuova cultura della montagna?«Chi visita solo occasionalmente la montagna vive il paesaggio che gli lascia chi lo abita e lo amministra ogni giorno. Ma vedo un certo negazionismo da parte delle amministrazioni verso i cambiamenti climatici in corso, come se nulla si modificasse. Si costruiscono impianti di risalita anche se non c’è più neve. Vedo una cecità più imprenditoriale che politica».

È tutto da costruire il futuro di una montagna senza neve. «Credo sia oggi doveroso relazionarsi con una montagna senza neve: sotto i 2 mila metri è già una realtà, sopra i 3 mila ci stiamo arrivando. Ma quello che vedo, vivendo ai piedi del Monte Rosa, è che si stanno continuando a costruire funivie e bacini artificiali. Questo non è il futuro e non lo sarà: ce lo dicono tutti.

Il turismo della montagna va ripensato».Qual è la direzione da intraprendere?«C’è una dimensione economica della montagna che deve continuare a funzionare e dare ricchezza a chi ci abita, sarebbe idealistico pensare a una montagna solo di pastori che tra l’altro non esistono più. Ma il modello è da ripensare: ho in mente un turismo gentile, più orientato ai parchi e che lasci la montagna integra anziché asfaltarla». Più natura selvaggia che antropizzata?«Le nostre Alpi sono da sempre un luogo di presenza umana, da secoli in equilibro; ma ora si è rotto. Oggi le Alpi sono una periferia urbana. Vivo a un’ora da Torino una montagna che si affaccia sulla città; e questo la mette in serio pericolo

Gli stranieri del Nord Europa, quando arrivano qui, non nascondono il loro stupore per una natura quasi incontaminata. Lo vedo nei loro sguardi alieni questa ricchezza e, più la conserveremo, più diventerà preziosa in un’Europa di megalopoli industriali. Questo è un patrimonio che frutterà se noi lo manterremo integro».

Lei scrive: «La montagna che ho in testa non è quella della sagra della polenta né quella colonizzata da chi viene a sciare ma un luogo vivo di relazioni». E la contrappone alla città che definisce «lo specchio di un sogno di famiglia diventato un fallimento».«La montagna è cambiata tanto: ci ho passato tutte le estati fin da ragazzino, abitavo a Milano, in appartamento e vivevo questo paesaggio con un senso di libertà estrema.

Dopo i 30 anni sono entrato in crisi con la città e sono venuto a vivere qui per desiderio di fuga e solitudine. Ma ho scoperto la montagna non come isolamento ma luogo di relazioni vere, più della città. Qui sto costruendo un rifugio non turistico ma un luogo di produzione culturale e ho organizzato per la prima volta un Festival». Un antidoto allo spopolamento?«Da 10 anni la tendenza si è invertita, contiamo circa 200 mila nuovi montanari dopo che la crisi ha messo a dura prova il modello di vita della città. Il problema è che stiamo vivendo una rivoluzione urbana e industriale delle Alpi preoccupante».

Eleonora Vallin