Auto, industrie vogliono rinvii su tagli C02

Dal Corriere delle Alpi del 14 settembre 2017

Sviluppo sostenibile
Auto, industrie vogliono rinvii su tagli C02

Le parole del presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker, che esorta i costruttori a correggere il tiro e a investire il più possibile sulle auto pulite, trovano un’eco immediata al Salone di Francoforte, dove oggi è attesa per l’inaugurazione la cancelliera tedesca Angela Merkel. «Sono fiero della nostra industria automobilistica, ma sono scioccato che i nostri consumatori siano stati ingannati. I costruttori investano sulle auto pulite che sono quelle del domani», afferma Junker nel suo discorso. L’esortazione alle industrie automobilistiche arriva pochi giorni dopo il richiamo a Volkswagen da parte di Bruxelles e delle autorità nazionali di tutela dei consumatori, affinché il gruppo tedesco completi le procedure di regolarizzazione di tutti i veicoli coinvolti nel Dieselgate.

Al Salone dell’Auto di Francoforte, l’Acea, l’associazione dei costruttori europei, propone di rinviare al 2030 il taglio del 20% delle emissioni CO2 delle auto, che la Commissione aveva fissato al 2021. È il presidente dell’Acea, Dieter Zetsche, numero uno del gruppo Daimler, a spiegare che le case hanno bisogno di più tempo: «l’obiettivo che ci diamo – afferma – è condizionato dalla reale domanda di auto elettriche e dalla disponibilità delle infrastrutture di ricarica. In concreto questo target dovrà essere rivisto al ribasso o al rialzo sulla base di una verifica da fare nel 2025».

«In questo momento la realtà è che la domanda di auto elettriche è bassa e questo non per mancanza di disponibilità e di scelta», ammette Zetsche. Nella prima metà del 2017 i veicoli elettrici coprono l’1,2% del totale delle vendite di auto. La Corte di Giustizia Europea ha emesso il suo verdetto in merito al quesito posto dal tribunale di Udine sulla possibilità che i governi nazionali adottino, in materia alimentare, misure di emergenza sul fondamento del principio di precauzione.

Quali sono gli importanti paletti posti dalla Corte con la sua sentenza in merito alla vicenda Fidenato e MON810? Il primo è innanzitutto il fatto che quando si chiamano in causa possibili rischi per l’uomo e per l’ambiente non si può prescindere dalle evidenze scientifiche che sono state raccolte in merito a tali rischi o in altre parole che il tanto citato principio di precauzione deve essere sempre e comunque fondato su evidenze scientifiche o sull’eventuale mancanza di tali evidenze. Il secondo riguarda proprio le evidenze scientifiche oggi disponibili sulla sicurezza del mais MON810. In merito alla sicurezza alimentare in particolare i regolamenti comunitari rilevanti parlano da un lato di “possibilità di effetti dannosi per la salute e permanenza di una situazione d’incertezza sul piano scientifico” e dall’altro di “manifesto grave rischio per la salute umana, per la salute degli animali o per l’ambiente”.

Ora dopo oltre 20 anni di ricerca scientifica sull’argomento portata avanti in tutto il mondo non esistono evidenze allo stato attuale che dimostrino tale pericolosità e tali rischi né sul tema esistono incertezze nella comunità scientifica. L’Efsa con il suo parere del settembre 2013 si è limitata a ribadire questo e la sentenza non fa altro che recepire tale posizione e definire quindi infondato il divieto del governo italiano alla coltivazione del mais MON810.

La comunità scientifica mondiale non è al momento divisa sul tema della sicurezza per uomo, ambiente ed animali dei prodotti Ogm ad oggi autorizzati alla coltivazione nell’Unione Europea. Diverse possono essere invece le considerazioni sull’opportunità della coltivazione del mais Ogm sotto l’aspetto dei vantaggi o svantaggi economici che ne possono derivare anche in funzione delle specificità dell’agricoltura nei diversi territori.

Perché la sentenza avrà un impatto pratico limitato pur fissando dei principi fondamentali? Perché nel frattempo, ossia fra il 2013 ed oggi, anche su sollecitazione di alcuni stati membri quali l’Italia, la Commissione Europea ha emanato una nuova direttiva con la quale consente ai singoli stati membri di decidere se limitare o vietare la coltivazione di varietà Ogm autorizzate a livello comunitario anche in assenza del sopra menzionato “manifesto grave rischio grave” ma in base a sole “motivazioni concernenti gli impatti socio-economici derivanti dalla coltivazione di un Ogm sul territorio dello Stato membro interessato”.

L’Italia assieme ad altri 18 stati dell’Ue ha richiesto ed ottenuto il divieto di coltivazione su tutto il proprio territorio del mais MON810 e di altre 5 varietà di mais Ogm e la sentenza della Corte non avrà nessun impatto su tale divieto che quindi continuerà a sussistere. Quindi le voci allarmate di chi, pur rivestendo cariche politiche di grande rilievo, non ha perso oggi l’occasione per gridare allo scandalo dicendo che l’Unione Europea ci obbliga a consentire la coltivazione del mais Ogm con gravi danni per la salute umana e per l’ambiente non fanno altro che dimostrare lo scarso livello di informazione della nostra classe politica da un lato e quanto la discussione sia ideologica, sganciata dalla realtà dei fatti e basata su preconcetti dall’altro.

Dal punto di vista dell’impatto possiamo forse sperare che la sentenza faccia riflettere il nostro governo e più in generale la nostra classe politica sulla necessità di prestare più attenzione alla voce della scienza e di basare le proprie decisioni sui pareri autorevoli degli organi di rappresentanza al più alto livello della comunità scientifica. Il nostro governo sembra talvolta usare il parere della scienza solo quando questo coincide con la sua volontà politica. Se questo può risultare conveniente dal punto di vista politico non coincide però necessariamente con il bene dei cittadini e del paese.

* professore di Genetica all’Università di Udine