La montagna del futuro: cemento e collegamenti sciistici? c.s.
Pubblicato on 27/Lug/2021 in Comunicati, NewsComunicato stampa delle Associazioni
La montagna del futuro: cemento e collegamenti sciistici?
La decisione della Corte Costituzionale di confermare i vincoli paesaggistici per il Comelico e la conca di Auronzo, rigettando il ricorso della Regione Veneto tendente a respingere alcune norme nazionali a tutela del paesaggio montano, ha provocato immediate reazioni da parte di Confindustria Dolomiti e di vari esponenti della politica regionale.
In Confindustria, come nella parte maggioritaria della politica, non si riesce proprio a concepire che vi sia una Corte sopra le parti (la Consulta in questo caso) che si esprime sulla base di alcuni principi cardine: il rispetto dell’art. 9 della Costituzione (La Repubblica tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione), la difesa dei beni comuni e dei soggetti deboli, nei quali vanno incluse le future generazioni.
Ogni “vincolo” viene visto come negativo, senza tener conto del significato profondo del termine. Vincolo deriva infatti dal latino vinculum cioè legare, legare umanità, relazioni, diritti, attribuire ai monumenti e ai beni paesaggistici valori che non spetta solo a certe categorie imprenditoriali definire, ma che sono patrimonio di tutti i cittadini: valori paesaggistici, sacralità dei luoghi, storicità, bellezze, biodiversità.
Beni universali che non appartengono solo a Confindustria.
I vincoli vanno rispettati attraverso regole, quindi leggi che dettano le norme del vivere civile di comunità intere, non riferite a banali categorie prive di qualsiasi base scientifica, definite come “i montanari” o “i cittadini”.
Attraverso regole severe, (ben disciplinate dalle “Regole” e dalle ASUC) che avevano come base la percezione netta dei limiti presenti nelle montagne, le nostre popolazioni hanno potuto sopravvivere, gestire il territorio e strutturare una società alpina basata non sul conflitto, ma sul confronto, sulla condivisione delle scelte e sulla solidarietà rivolta alle classi sociali più fragili.
Nelle sue dichiarazioni alla stampa, Lorraine Berton, presidente di Confindustria Dolomiti, definisce la sentenza della Consulta una “condanna a morte per la montagna”, ridotta a “riserva indiana” e preclusa ad ogni investimento. Sono affermazioni pesanti che suonano come slogan populisti mirati alla pancia della gente, ma che non hanno fondamento se i reali bisogni del territorio non sono stati prima analizzati ed esplicitati.
E’ da rilevare che in anni di dibattito Confindustria non ha definito un calendario di opportunità, investimenti, strategie per affrontare la crisi ormai ultradecennale della montagna cadorina, restando ancorata a progetti incentrati sulla grande viabilità e su nuovi collegamenti sciistici, che fin dall’inizio si riconoscono insostenibili, non solo ambientalmente, ma anche economicamente (ad oggi non esiste un business plan sul collegamento di passo M. Croce- Padola).
L’ambientalismo questo passaggio lo ha affrontato, anche presso sedi istituzionali. Da tempo ha proposto di strutturare una filiera del legno, di investire nella gestione giornaliera della sicurezza della montagna, di curare con prospettive di tempi medio–lunghi gli alpeggi, di costruire sinergie fra il mondo del turismo e quello della cultura, della formazione scolastica e del lavoro; di investire su un’assistenza sanitaria affidabile e diffusa, di assicurare collegamenti internet all’altezza dei tempi e dei bisogni degli abitanti e dei turisti, di confrontarsi per una progettualità sulla mobilità intermodale, quindi pubblica e privata, anche ferroviaria, dalle città verso le vallate periferiche.
Ad oggi, nonostante un impegno più che decennale, abbiamo avuto poche risposte dal mondo politico e nessuna da una Confindustria che si presenta come una realtà associativa sempre più miope e priva di visione, che insiste nel concepire lo sviluppo in termini di consumo di suolo e cementificazione della montagna, dalle vallate fino alle alte quote.
A nostro avviso la montagna muore per la conclamata indifferenza della politica e della stessa Confindustria nei confronti dei reali bisogni sociali della montagna, non solo bellunese.
Vogliamo interrogarci su come viene speso “il tesoretto” legato alle Olimpiadi oppure sui 26 milioni dei fondi di confine “donati” dalle province autonome di Trento e Bolzano NON alla popolazione del Comelico, come affermano i sindaci locali, ma alla società di impiantistica Drei Zinnen, guarda caso, bolzanina?
Dopo la chiara e lungimirante sentenza della Consulta sul valore dei beni paesaggistici e ambientali presenti nel bellunese, la Regione Veneto e Confindustria si renderanno finalmente disponibili ad aprire un ampio confronto con la sensibilità ambientalista? Noi da tempo siamo pronti ad offrire contenuti, progettualità ed esempi concreti di buone pratiche.
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