De Menech«Tutto ciò che insiste sulle zone a rischio deve essere spostato»
Pubblicato on 10/Ago/2017 in NewsDal Corriere delle Alpi del 9 agosto 2017
L”onorevole De Menech d’accordo col governatore Zaia: «Tutto ciò che insiste sulle zone a rischio deve essere spostato, la pianificazione va rivista da subito»
BELLUNO Non ci sono dubbi per l’onorevole Roger De Menech, del Pd: alla luce dei nuovi eventi meteo, la pianificazione deve essere rivoluzionata e già oggi, se ci sono case da trasferire, perché insistono in luoghi insicuri, vanno ricostruite altrove. De Menech, in sostanza, fa proprie le considerazioni di Zaia, presidente della Regione, e dell’assessore all’Ambiente e alla Protezione Civile, Gianpaolo Bottacin.
«Condivido quanto hanno dichiarato sulla sicurezza del territorio, non accetto che facciano gli scaricabarile. La responsabilità è di tutti. Altrimenti vale il detto: piove, governo ladro».
Ad ogni post-emergenza, l’accusa è non aver saputo prevenire il rischio idrogeologico. Di chi è esattamente la responsabilità? Dei privati, della pianificazione comunale o della programmazione regionale?«In questo momento, a pochi giorni dagli eventi drammatici, non è saggio polemizzare. La responsabilità è di tutti. Certo, le istituzioni devono trovare il coraggio di promuovere una pianificazione più coraggiosa. E mi si scusi il bisticcio di parole».Più coraggiosa in che senso?«È evidente: le volumetrie a rischio vanno trasferite. Se ci sono case vicino ai corsi d’acqua che storicamente esondano; se ci sono abitazioni costruite sotto il livello dei torrenti o dei fiumi; se ci sono volumi edificati ai piedi di montagne franose o in zona sismica e privi dei necessari adeguamenti, è evidente che il pianificatore, a partire dal Comune, deve trovare il coraggio di far sloggiare quelle strutture, ovviamente condividendo le soluzioni alternative con i diretti interessati. Ma senza esitazione».
Lei può solo immaginare se a Cancia, in Comune di Borca, o a San Vito – per limitarci a due esempi – i sindaci potranno mai porre il problema. Scoppierebbe la rivoluzione.
«Certo, ma con la necessaria prudenza bisogna cominciare a muovere i primi passi, magari accompagnandoli con una più approfondita e necessaria cultura della prevenzione» .
Cultura della prevenzione? Ma lo sa quale sarebbe la reazione della Soprintendenza se il trasloco dovesse riguardare qualche edificio storico?«
Lo so, lo so. Eppure bisogna mettersi a tavolino, confrontarsi, discutere e arrivare ad una soluzione. Se c’è una casa storica in pericolo, questa non può rimanere là dove si trova».
La sua logica potrebbe portare a sviluppi imprevedibili. Per esempio indurre il Comune di Longarone a decidere il trasferimento della zona industriale, che secondo l’ingegner D’Alpaos è insediata nel sito più sbagliato, lungo il Piave. O mettere in conto il trasferimento di parte di San Vito perché si trova ai piedi di immensi ghiaioni. E non solo San Vito, anche Cancia, il villaggio dell’Eni.
«Piano, piano. È evidente che non possiamo traslocare tutta San Vito. Bisogna scegliere le priorità. Ricordo quand’ero sindaco a Ponte, e rispetto all’area industriale Paludi, che si trova sotto il livello del lago di Santa Croce, decidemmo di intervenire radicalmente lungo il canale Rai per tenerlo sempre pulito, efficiente. Con questo voglio dire che c’è una manutenzione ordinaria da rispettare rigorosamente, con la quale è possibile prevenire una serie di piccole e, a volte, grandi emergenze».
Il problema dello sghiaiamento dei torrenti, dei fiumi e delle stesse dighe è un tema che riesplode in ogni post-emergenza, ma il dibattito dura poi uno-due giorni…
«Questo è vero. Ma non possiamo più permetterlo. Se lo Stato ha investito più di 300 milioni per realizzare i bacini di laminazione del Veneto, la Regione potrà senz’altro avere da parte alcune risorse da concentrare nella difesa idraulica, per lo meno quella più spicciola».
Cominceremo dal Rio Gere e dal Bigontina, a Cortina?
«Il tema è all’ordine del giorno. Ieri ho riparlato con il ministro dell’Ambiente Galletti che conosce bene la situazione di Cortina. Il ministro mi ha confermato di concordare sulla dichiarazione dello stato di emergenza, con tutte le relative conseguenze. Ma è evidente, mi ha precisato, che per quanto riguarda la necessaria disponibilità di risorse, vi deve essere un concorso di tutti gli enti. Il Governo farà la sua parte, come mi ha assicurato anche il sottosegretario agli Affari regionali, Gianclaudio Bressa, il quale concorda, pure lui, per il riconoscimento dell’emergenza».
Ma, in concreto, il Rio Gere e il Bigontina, tanto per fermarci a questa situazione, saranno messi in sicurezza o no?
«Mi pare che si sia già cominciato a farlo».
Duque non condivide la polemica di chi invita ad investire il miliardo del Treno delle Dolomiti sulla difesa idraulica?
«Che cosa ci stanno a fare i cavoli a merenda?».
Acquabona, prima di Cortina, è in sicurezza con i tombotti sotto lo strada; o non era meglio costruire la galleria paramassi per farci scivolare la frana al di sopra?
«I tecnici Anas hanno scelto così, garantendo che questo intervento origina la massima sicurezza. Ma, ad Acquabona, si cosideri che a monte ci sono le vasche di contenimento».
Come spiega che quando si chiude una strada per maltempo a Cortina o in provincia di Belluno c’è il finimondo mediatico, mentre per quanto riguarda il disastro in Val Pusteria, con la chiusura della strada tra Cortina e Dobbiaco, la notizia ha continuità per poche ore?
«Si ha più coscienza, da quelle parti, dei rischi che ha il vivere sulle terre alte. E quindi si enfatizzano meno i problemi che ne possono derivare. Chi ha protestato per la chiusura della strada tra Cortina e Dobbiaco?» .
Francesco Dal Mas