Dolomiti, addio neve e incubo inondazioni
Pubblicato on 16/Ago/2017 in NewsDal Corriere delle alpi del 15 agosto 2017
In estate non ci sarà acqua per l’agricoltura. Bacini a rischio
Dolomiti, addio neve e incubo inondazioni
Se è vero che il tempo è una cosa e il clima un’altra, è certo che il cambiamento in atto avrà molte ripercussioni sulla montagna. Vediamo alcuni dati.La temperatura media è aumentata di 1,5°C negli ultimi 50 anni, di 1,7°C rispetto all’era preindustriale. Si tenta di restare sotto i 2 gradi di aumento entro fine secolo, ma l’obiettivo è considerato improbabile. Secondo alcuni studi si potrebbe arrivare a 3 o 4. Quali saranno gli effetti per le nostre montagne? 1)Innalzamento della Lan (Linea di affidabilità della neve: almeno 100 giorni con 30 centimetri di copertura nevosa), oggi a 1500 metri slm. Con + 2°C la Lan si alza di 300 metri.2)Scomparsa dei ghiacciai entro fine secolo. I ghiacciai si ritirano di 60-140 metri ogni grado di aumento. Dal 1850 la loro massa si è ridotta del 75% (solo nel caldissimo 2003 del 10%).3)Il numero delle precipitazioni resterà invariato, ma diminuiranno in estate e aumenteranno in inverno sotto forma di pioggia e non di neve.
Aumenteranno di molto gli eventi estremi e localizzati (saranno tra il 20 e il 40% del totale), con effetti devastanti, per frane veloci e distruttive sotto forma di “flash flood” (come quelle recenti di San Vito e di Cortina, per intenderci).4)Il turismo subirà cambiamenti radicali: aumenterà quello nazionale (fuga dalle città e dalle pianure per le ondate di calore), diminuirà quello estero (si preferiranno mete nel nord Europa). Il turismo invernale rappresenta oggi il 64% del fatturato in montagna: delle attuali 14 stazioni sciistiche nel Veneto, con almeno metà della superficie delle piste sopra quota 1500, ne sopravviveranno 12 con + 1°C (Lan a 1650 metri), 8 con + 2°C (Lan a 1800), solo 2 con +4°C (Lan a 2100).
Sarà inoltre quasi impossibile fare neve artificiale, dati i costi sproporzionati, la mancanza di acqua e le alte temperature.5)In montagna il totale delle precipitazioni (medie annuali) non cambierà, ma con forti differenze stagionali. Sarà perciò impossibile, nonostante le dighe e i bacini artificiali, garantire flussi costanti e sufficiente stoccaggio di acqua, con gravi ripercussioni sulla produzione idroelettrica e sull’irrigazione delle pianure.Già oggi le concessioni per gli usi irrigui superano le disponibilità del Piave: 97,8 mc/s in estate contro la portata media naturale a Segusino (dove iniziano le grandi derivazioni irrigue) di 87 mc/s. Per 180 giorni all’anno le portate naturali sono insufficienti.
Le concessioni per gli usi idroelettrici assommano nel bacino del Piave a 544,7 mc/s. La differenza con il dato dei prelievi irrigui non deve trarre in inganno: l’acqua, una volta turbinata, viene riutilizzata in altri impianti a valle e/o restituita al fiume – fatta eccezione per le diversioni di bacino, come quella di Soverzene – anche se l’impatto sul regime naturale è comunque pesante, mentre quella prelevata per l’irrigazione è una perdita netta per il fiume.Nei bacini artificiali sono immagazzinati 130-160 milioni di mc di acqua, ma in futuro non sarà più possibile garantirli, né sarà possibile aumentarli con nuove dighe e bacini, perché in montagna non c’è più posto, perché il costo sociale è pesante e la loro costruzione è molto costosa. L’ipotesi – che già circola – di disseminare la montagne con nuove buche più piccole da riempire di acqua è improponibile socialmente ma anche economicamente se si fa un bilancio costi/benefici (le “buche” potrebbero contenere qualche decina di migliaia di metri cubi, non certo i milioni che servirebbero). In sostanza, non ci sarà più acqua a sufficienza nei momenti di massimo bisogno per l’agricoltura, cioè in estate quando le portate del Piave sono più alte grazie allo scioglimento delle nevi (ma quando non ci sarà più neve?).
Esistono poi delle azioni di adattamento e mitigazione da intraprendere subito, al netto delle strategie planetarie per contenere l’aumento del riscaldamento globale: smetterla di prevedere nuovi impianti di risalita e nuove piste, destinati al fallimento; cambiare i sistemi di irrigazione che sprecano il 50-60% dell’acqua (le canalette a perdere vanno sostituite con sistemi a goccia, altre Regioni lo stanno già facendo); convertire le produzioni agricole (per esempio il mais); rivedere le concessioni irrigue e idroelettriche; realizzare una carta geologica delle Dolomiti aggiornata (siamo fermi agli anni 30); vietare nuove costruzioni nelle zone a rischio e spostare quelle che ci sono (comprese due zone industriali).
Quest’ultima è materia da Prg ed è nelle mani dei sindaci che però sono i meno indicati a gestirla per ragioni elettoralistiche e per loro insipienza: si veda la vicenda del Piano Territoriale Provinciale, che pure indicava chiaramente questi interventi, sabotato da molti sindaci (va da sé che oggi una “Provincia dei sindaci” è una contraddizione in termini).Infine, diversificare l’offerta turistica, cambiarne la qualità, allungare la stagione estiva (già ora solo il 31% dei turisti invernali pratica lo sci). E costruire grandi bacini di immagazzinamento dell’acqua in pianura per l’irrigazione e contro le piene. Alcune di queste azioni costano molto, altre poco, altre nulla, ma ci vuole il coraggio di toccare i non pochi interessi in gioco.Occorre spendere oggi per non pagare domani un costo altissimo. Ma molti si accontentano di gridare sopra le macerie per fare bella figura, dare la colpa allo Stato, lucrare consensi sulle disgrazie per la prossima campagna elettorale o referendaria.
Della serie: piove o non piove, è sempre colpa del governo ladro. Per dirne una: sarà mica colpa dello Stato o del governo (tanto meno di quello di oggi) se il bacino di Falzè da 40 milioni di mc, indicato come necessario fin dall’alluvione del 1966 (50 anni fa!) non si è mai fatto.