Riflessioni fuori dal coro sul caro energia, di Giorgio Gallo
Pubblicato on 1/Mag/2022 in Documenti di sintesi, NewsIn un momento in cui l’attenzione è esclusivamente rivolta al tentativo di sostituire l’energia importata dalla Russia con altra energia di fonte fossile, nucleare o rinnovabile, deregolamentando e sfruttando al limite ogni risorsa, Giorgio Gallo, architetto esperto in temi energetico-ambientale vicino a Peraltrestrade, ha scritto per noi alcune riflessioni sul caro energia, un documento che vi proponiamo ritenendo che meriti un’attenta lettura.
Riflessioni fuori dal coro sul caro energia
di Giorgio Gallo
10 aprile 2022
Chi come me, ha lavorato sul tema dell’efficienza energetica e le fonti rinnovabili sin dalla fine degli anni ’70 (a tale epoca si riferiscono i miei primi corsi universitari su questi temi), si trova un poco spiazzato dalle reazioni al caro energia che si stanno sviluppando dagli ambiti “ambientalisti” in questo momento.
Uno dei temi centrali di chi operava per un cambio di modello di sviluppo fin d’allora era proprio che il costo dell’energia fosse tenuto deliberatamente basso, attraverso sussidi ai combustibili fossili, non applicazione dei costi sanitari e ambientali quali malattie respiratorie, disinquinamento, smaltimento scorie radioattive, etc., fino a giungere a colpi di stato (es. IRAN) e guerre, nel caso i paesi produttori avessero superato determinate soglie del prezzo di vendita (leggete gli articoli sui giornali del 1973-74).
La Crisi Petrolifera del 1973 – arrivata l’anno successivo alla pubblicazione del Rapporto di Donella H.Meadows, Dennis L.Meadows, Jørgen Randers, WilliamW. Behrens III su “I Limiti dello Sviluppo” promosso dal Club di Roma – costrinse per la prima volta l’Occidente a confrontarsi con il tema del non controllo delle risorse e della loro geo-localizzazione e finitezza. Si crearono le basi per la fisica tecnica legata all’efficienza e alle rinnovabili, si svilupparono prodotti e soluzioni innovative, si diffuse un primo cambio di visione che però fu di fatto vanificato dalla costante riduzione dei prezzi delle fonti fossili avvenuta negli anni successivi. Dalla Ritmo che recuperava l’energia della frenata e si spegneva ai semafori ai SUV…
Il basso prezzo dell’energia convenzionale, si portava dietro quattro conseguenze dirette:
• rendere poco interessanti gli interventi di efficientamento energetico spostandone il tempo di ritorno oltre a limiti considerati economicamente accettabili (ENEA all’epoca cassava tutto quello che aveva un tempo di ritorno superiore agli 8 anni).
• costringere le rinnovabili a competere in modo squilibrato con l’energia fossile e nucleare.
• favorire la globalizzazione delle merci, la delocalizzazione delle produzioni, il turismo mordi e fuggi, etc. etc.
• favorire il consolidamento e l’esportazione di un modello socio-economico insostenibile.
Una situazione analoga è avvenuta per le materie prime e per i prodotti derivati dalle risorse “astutamente” definite “rinnovabili”.
Tutto questo si è protratto finora nonostante, in mezzo secolo da “I Limiti dello Sviluppo” e a 60 anni da “Primavera silenziosa” di Rachel Carson, la consapevolezza di questi problemi sia cresciuta enormemente, almeno in apparenza, a tutti i livelli.
In apparenza perché, con estrema astuzia, il sistema economico e produttivo dominante ha saputo utilizzare benissimo l’arma del “camuffamento” per deviare e depotenziare le istanze di chi si oppone(va) al modello di sviluppo standard.
Il Cavallo di Troia è stata la crisi climatica con le emissioni di CO2. Dopo aver tentato per anni di negarla attraverso un’opera costante di disinformazione e mistificazione, ha capito che per non cambiare quasi nulla, la soluzione più efficace è quella gattopardesca di fingersi alleati.
Infatti, il sistema del PIL crescente non è legato in modo indissolubile alle fonti fossili o nucleari quanto al basso costo delle risorse e la promessa (o atto di fede) della tecnologia è proprio quella di permettere una transizione chiamata ad arte “ecologica”, che non modifica sostanzialmente livelli di consumo dei beni materiali, stili di vita e, soprattutto, rendite dei grandi e piccoli capitali. Quando, almeno per alcune risorse, è evidente il loro esaurimento… ci pensa Mask a dire che ce le porterà da Marte.
Nel perseguire la finta transizione, il sistema dispone di due potentissimi alleati:
• le imprese (incluse quelle agricole), nel contempo vittime e sostenitrici dello status quo, che invece di chiedere supporto verso una transizione reale, utilizzano lo strumento delle lobby per bloccare o depotenziare i provvedimenti che le costringerebbero a modificare produzioni, mercati, etc.
• i cittadini, inclusi la maggioranza degli “ambientalisti”, che è da sempre in attesa della pozione tecno-magica che gli consenta di salvare gli orsi polari senza cambiare sostanzialmente nulla, anzi.
L’evidenza di questa situazione si trova proprio nella differenza tra prese di posizione apicali tanto illuminate quanto rivoluzionarie e la traslazione in elementi operativi, quasi sempre depotenziata quando non distorta.
Provate a confrontare i due rivoluzionari documenti “Un pianeta pulito per tutti. Visione strategica europea a lungo termine per un’economia prospera, moderna, competitiva e climaticamente neutra” (COM (2018) 773 final) e “Il Green Deal europeo” (COM (2019) 640 final), approvato l’11.12.2019 dalla Commissione Europea, con i tentativi di varare poco dopo una PAC tutta a favore del grande agribusiness multinazionale o dell’utilizzo indiscriminato delle biomasse per usi energetici contenuto nella direttiva Direttiva Energie Rinnovabili (REDII) EU, che si sta tentando di modificare, e tutti gli accordi per aumentare le importazioni ed estrazioni di fossile degli stati nazionali.
© Unione europea, 2019 Riutilizzo autorizzato con citazione della fonte. PDF ISBN 978-92-76-02088-2 – doi:10.2834/587005 – ML-04-19-339-IT-N
E che dire dell’Enciclica “Laudato Sì” di Papa Francesco che ha portato gli ambienti legati al mondo cattolico (sindacati inclusi) ad esprimere posizioni analoghe come intenti, salvo poi accodarsi e approvare grandi (e inutili) infrastrutture, olimpiadi invernali, etc.
Stiamo ora assistendo, mutati mutandis, a una replica della crisi energetica del 1973, dove i mutandis in negativo sono la popolazione mondiale, il ruolo dei paesi emergenti, i costi comunque più elevati di servizi e materie prime, gli effetti dei cambiamenti climatici, la ricerca spasmodica di preservare i profitti in condizioni più sfavorevoli, mentre poco si è fatto per quelli che potrebbero essere i mutandis positivi.
Una reazione che ha i suoi capisaldi in alcuni punti condivisi dai più:
• garantire la quantità di energia richiesta – sempre più – dal sistema, utilizzando sia importazioni da paesi fuori dall’orbita della Russia che qualunque risorsa e tecnologia, con particolare attenzione a quelle controllate da grandi gruppi e capitali.
• tenere bassi i costi dell’energia per non colpire imprese, cittadini, investitori e, in ultimo, non intaccare il modello di sviluppo e crescita del PIL.
• confidare nella brevità della crisi e in un riassetto globale che consenta di riprendere tutto come prima. Come il post-pandemia.
SPUNTI PER RICHIESTE E AZIONI
I due grandi assenti: efficienza energetica e cambiamenti sostanziali di produzioni, consumi, stili di vita. Negli anni, in luogo di interventi puntuali di efficienza, il mercato ha spinto verso un incremento del consumo di energia e risorse. Proseguire in questa direzione non può che vanificare gli sforzi per aumentare l’indipendenza e sganciarsi dal fossile e dal nucleare.
1. Nulla in contrario alla riapertura temporanea anche delle centrali a carbone o dello sfruttamento dei giacimenti nazionali (già attivati) per tamponare la situazione esistente, se questo è inserito in un programma ben definito di riduzione della dipendenza complessiva dalle importazioni di fossile. Servono battaglie di merito e con una visione globale e di medio/lungo periodo e non arroccamenti su posizioni ideologiche.
2. Non è al contrario accettabile intervenire aumentando lo sfruttamento di rinnovabili critiche come l’idroelettrico su piccoli corsi d’acqua e l’esbosco a fini energetici. Il combinato tra interventi già di per se pesanti per gli ecosistemi locali e il cambiamento climatico con siccità e temperature crescenti sarebbe devastante, a fronte di produzioni limitate quando non irrisorie.
3. Il fotovoltaico è sicuramente utile e importante ma non è attualmente la risposta al problema, non avendo ancora stoccaggi stagionali efficaci e sostenibili, mentre quelli di breve periodo non sono sufficienti ad affrontare i mesi invernali in cui la radiazione è radente e di breve durata. In inverno, le pompe di calore e la maggior parte di utilizzi elettrici avrebbero comunque bisogno di centrali convenzionali per funzionare. Inoltre, i moduli provengono da Cina o altri paesi e, quindi, l’investimento è spostato prevalentemente verso l’estero.
4. Al contrario, le tariffe dell’energia devono essere collegate alla sua disponibilità e al prezzo del mercato su base oraria. Le attuali tariffe mono e bi-oraria non sono giustificate da problemi tecnologici di misura e fatturazione e non incentivano alcuna gestione responsabile dei consumi privati, industriali e del terziario. I prezzi del kWh delle ore con minimi di richiesta rispetto alla produzione devono essere molto più bassi.
5. Anche le Comunità Energetiche, se volte alla sola produzione via fotovoltaico e all’ottimizzazione dei consumi, per quanto migliorino la situazione non sono di per se risolutive. Altra cosa se servono a costituire o rafforzare comunità locali in grado di intervenire fornendo servizi e supporto agli aderenti, con un approccio realmente cooperativo e solidale con azioni di efficientamento e di spostamento degli usi da individuali a collettivi.
6. Si deve puntare massicciamente sull’efficienza energetica in tutti i settori e a tutti i livelli. Secondo l’International Energy Agency – IEA (e la mia esperienza), abbiamo ancora da ridurre tra il 60 e il 70% dei consumi. Buona parte delle tecnologie per l’efficienza sono di produzione e gestione locale, o quantomeno EU, e innescano ricadute positive sul territorio. Con il 60% di maggior efficienza, oltre a ridurre i consumi di egual misura, l’attuale percentuale di eolico e fotovoltaico (14,4% nel 2021) passerebbe al 36% e quella complessiva (incluso il grande idro) dal 36% al 90%.
Immagine tratta dall’Efficient World Scenario (EWS) dell’IEA International Energy Agency, 2019
Dovrebbe essere applicata la regola imposta negli anni ’80, in California e altri stati USA, alle Utility che chiedevano di realizzare un nuovo impianto. Una volta valutato il costo della sua realizzazione, se l’autorità pubblica dimostrava che investendo una cifra analoga in efficienza energetica lungo tutta la catena dalla centrale fino agli usi finali, l’energia risparmiata superava quella derivante dalla nuova centrale, la Utility era obbligata a optare per gli interventi di efficienza. Provate a ribaltare in efficienza il costo degli investimenti nel caso di centrali nucleari e a carbone (che però permettono di tenere concentrati i capitali facendo contenti politici, grandi investitori e imprese).
a. Per il settore residenziale, che assorbe il 30-40% dei consumi:
I. programmi come quelli del Superbonus, resi più agili e controllati, sono perfettamente funzionali e possono agire efficacemente anche con detrazioni del 70-80%, purché si individuino meccanismi di compensazione adeguati per incapienti, ultra 65enni, etc. Il risparmio ottenibile sulla bolletta permette infatti di ripagare la quota residua in tempi accettabili. Non dovrebbe però essere possibile opporsi alla realizzazione di cappotti termici e del cambiamento dell’estetica delle facciate degli edifici post anni ‘50 non vincolati (ad oggi, basta un solo inquilino contrario per bloccare l’intervento).
II. manca completamente in Italia una educazione diffusa sui temi del risparmio e dell’efficienza gestita dal pubblico in modo semplice e super partes, inclusi programmi televisivi, spot, etc. Quasi tutte le Agenzie per l’Energia sono state chiuse da Comuni miopi e gli sportelli sono stati affidati ad associazioni o società private.
Le tariffe “più consumi meno paghi il kWh” dovrebbero essere completamente riviste perché non discriminano tra usi virtuosi e sprechi insostenibili.
b. Per il settore della mobilità e dei trasporti:
I. Incremento rapido della mobilità sostenibile in ambito urbano estendendo la zona 30 km/h a tutta l’area urbanizzata dei comuni per permettere la mobilità ciclabile senza necessità di piste ciclabili. Mantenimento di vie di scorrimento a 50/70 km/h con affiancate piste ciclabili (es. uso dei controviali) per il traffico veicolare. Trasporti pubblici urbani potenziati e gratuiti (tanto il deficit lo paghiamo tutti).
II. potenziamento delle linee extra urbane su gomma e, soprattutto, su rotaia.
III. piano di spostamento del traffico merci verso il multimodale, con incremento di quello via ferrovia. Riorganizzazione del comparto merci con ricollocamento dei lavoratori e delle imprese su trasporti locali e logistica. In parallelo, disincentivare il just in time e favorire la ricostituzione di scorte per gestire in modo più flessibile ordini e spedizioni.
c. Per il settore produttivo artigianale e industriale e sul terziario
I. Gli interventi di compensazione dei costi energetici per le imprese deve essere legata a impegni vincolanti – a livello di categoria e singole imprese – per l’efficientamento e la modifica delle produzioni e dei prodotti e/o dei servizi.
II. Applicando quanto richiesto nel “Green Deal europeo”, è necessario introdurre dazi e tassazioni che penalizzino:
• i prodotti esteri che fanno concorrenza sulla base di minori costi energetici e ambientali (ed emissioni di CO2).
• i prodotti interni all’EU che non utilizzano criteri seri di economia circolare applicata all’intero ciclo di vita del prodotto, inclusi il reale riciclo dei materiali, il prolungamento della vita utile, la riparabilità, etc.
Solo così è possibile incentivare e stimolare le imprese virtuose e favorire l’innovazione di prodotti e processi. In caso contrario, superata (si spera a breve) la crisi, tutto tornerà come prima fino alla prossima.
d. Per il settore produttivo agricolo e dell’allevamento
E’ necessario un ripensamento complessivo e globale
Vi è un consumo sempre più insostenibile di acqua, energia, concimi di origine petrolifera e pesticidi.
E’ necessario effettuare un cambio di produzioni e di filiere, con l’utilizzo di varietà meno idrovore e più resistenti agli sbalzi termici, al caldo e ai parassiti inevitabilmente correlati, e con una riduzione degli sprechi e consumi energetici correlati, dalla produzione alla distribuzione alla vendita. Si deve parallelamente investire in tecnologie appropriate (es. irrigazione a goccia per orticole e frutticole), etc.
Questa transizione porterà a produzioni più sostenibili ma anche più costose, considerando che con poca acqua aumenta il sapore ma si riduce la quantità. Anche il valore deve essere rivisto. Il cibo non deve costare poco – a scapito di ambiente e salute – per permettere di spendere in altre inutili merci.
La guerra in Ucraina ha evidenziato l’eccessiva dipendenza dall’estero per quanto riguarda i cereali per alimentazione umana e animale. Solo riducendo la quota nazionale di seminativi destinata alla produzione di mangimi e riconvertendola alla coltivazione di varietà ad uso umano (non solo cereali, ma anche legumi, miglio, amaranto, etc. oltre a verdure e frutta) si potrà riequilibrare la situazione. La riduzione delle produzioni zootecniche (formaggi e uova inclusi) è una necessità strategica.
Il water footprint della produzione di carne bovina in Italia si attesta a 11.500 litri di acqua per produrre 1 kg di carne (il 25% in meno rispetto ai 15.415 della media mondiale) (fonte Water Footprint Network (WFN).
In Piemonte, in estate, il 60% del consumo di acqua è imputabile all’agricoltura, e la maggior parte alle colture di mais per gli allevamenti. In climi siccitosi, le dighe non riusciranno a far fronte alla richiesta.
Non parliamo di tradizioni alimentari. Noi non mangiamo (nel bene e nel male) come i nostri nonni, che non mangiavano come 100 o 200 anni prima. La pizza è invenzione storicamente recente e il panettone è simbolo di Natale da Motta in poi. Bisogna adattare e ri-inventare continuamente e non ancorarsi al rispetto di tradizioni ormai non più coerenti, anche riscoprendo quelle che invece possono avere un senso nella situazione attuale.
Giorgio Gallo
architetto
ambiente, energia, persone, territori
Laureato in Architettura nel 1985 presso il Politecnico di Torino. Ha lavorato in Finlandia e Svezia tra il 1985 e il 1990 e ha diretto il Centro Energia della Commissione Europea DGXVII a San Pietroburgo (RUS) nel periodo 1993/94. Da oltre 30 anni si occupa di progetti applicativi e dimostrativi su tematiche energetiche, tecnologiche e ambientali, partecipando a bandi europei, nazionali o regionali.