Considerazioni sul futuro del Comelico
Pubblicato on 2/Ago/2017 in NewsDal Corriere delle Alpi del 2 agosto 2017
In queste settimane stiamo osservando la salita alla ribalta della stupenda area posta tra l’alta valle del Comelico e l’inizio della Val Pusteria. Un angolo incantevole, dalle inarrivabili caratteristiche naturali, disegnate da sorgenti d’acqua e dominate da monti tra i quali spiccano le Tre Cime di Lavaredo e non solo.
Da almeno duemila anni territorio di confine che non escludeva ed esclude relazioni tra popoli: oggi con la provincia di Bolzano, l’Austria e il Friuli Venezia Giulia; ieri tra la X Regio della Venezia ed Istria e il Norico, successivamente tra l’Impero Asburgico e la Serenissima e l’impero Austro-Ungarico. Collocazione che certamente ne avrà influenzato la sua storia ed evoluzione.
Da qui ne discende il fascino particolare che emana allorquando si cerchi di penetrarne le vicende del passato e del presente. Molti sono, infatti, gli angoli di visuale dai quali cercare di comprenderne i vari passaggi nei millenni e nei secoli sino ai giorni nostri. Tutto questo perché quando si intende incidere con progetti di grande portata e impatto ambientale non si tenda a commettere l’errore di ignorare tali entroterra per il timore di apparire arretrati.
Difatti, dalla nostra parte abbiamo la fortuna di poter fare tesoro degli errori altrui, seppur questi siano stati commessi a pochi chilometri e da comunità più ricche della nostra. Per non rischiare di sbagliare con enunciazioni teoriche, entriamo nel terreno pratico del collegamento sciistico Val Pusteria Comelico Superiore.
Se ne sta argomentando da diversi anni e ora sembra proprio che si sia ai blocchi di partenza. Purtuttavia, senza toccare il tasto delle opportunità e dei possibili nodi o aspetti negativi, che pur esistono in termini di cambiamenti climatici e minori precipitazioni nevose verificatesi anche la scorsa stagione invernale, vorrei far presenti le nuove realtà e acquisizioni registrate in questi ultimi anni con l’arricchimento di scoperte antiche e più recenti.
Il riferimento è all’individuazione e indagine dell’accampamento romano posto in prossimità del confine con la provincia di Bolzano, nel comune di Comelico Superiore, il complesso di trincee e resti della Prima Guerra Mondiale, nonché i 18 bunker realizzati 80 anni fa da restaurare, poi le rilevazioni Lidar, cioè riprese aeree all’infrarosso di questa ed altre aree comelicesi. Un insieme di nuove letture di cosa nasconda il territorio e che s’inserisce negli studi del topografo calaltino Alessio De Bon del secolo scorso, effettuati su percorsi viari di età romana che, salendo lungo la valle del Piave, toccando una serie di stazioni archeologiche, solcano l’alto Comelico per inoltrarsi nella Val Pusteria e via per il Tirolo sino ad Augusta in Germania.
Per non allontanarci troppo rimaniamo al Comelico Superiore, toccando pure, con la via romana la fascinosa Valgrande e le sue acque minerali che escono dal sottosuolo e scrosciano lungo il pendio. Quindi le Terme, chiuse da troppo tempo, dopo un controverso avvio. E poiché paiono tornate d’attualità, perché non rinominarle Terme romane di Valgrande, visto che la via dei nostri progenitori amanti delle acque curative transita proprio da quelle parti?
Orbene, con l’auspicio di un ottimo rapporto di collaborazione con i pusteresi e il loro notissimo rappresentante Franz Senfter, c’è da ritenere che non si possa prescindere da quanto realizzato finora. Cioè dalle ottime basi conseguite grazie alla lungimiranza di Arrigo De Martin, responsabile e anima del Museo “Algudnei”. Grazie a lui si sono avuti i finanziamenti per realizzare gli scavi archeologici nell’ambito dell’accampamento, che l’hanno collocato tra il IV e il V sec. d. C. , e le rilevazioni Lidar su cui lavorare e proseguire, con la valorizzazione delle potenzialità del territorio sulle quali sta operando la Cooperativa “Lassù” guidata dall’architetto Daniela Zambelli.
L’enorme progetto del carosello sciistico, che si avvale di milioni di euro dei fondi di confine, non deve estraniarsi dalle chiare potenzialità derivanti dai beni culturali presenti, che meritano ulteriori evoluzioni e valorizzazioni con estese ricerche stratigrafiche e progetti di fruizione al pubblico. Proprio perché sia possibile andare oltre la sola stagione invernale, con richiami storico-archeologici rivolti a un turismo dolce e altamente culturale.