Inconciliabilità dei Giochi Olimpici con il territorio dolomitico, lettera a Malagò

Olimpiadi 2026 – punti Lettera inviata a Malagò il 26 giugno 2018 dalle Associazioni Ecoistituto Veneto “Alex Langer”, Mountain Wilderness, Comitato Peraltrestrade Carnia-Cadore, LIBERA Cadore, Gruppo promotore Parco del Cadore, Italia Nostra Sezione di Belluno-

Oggetto: Inconciliabilità dei Giochi Olimpici con il territorio dolomitico

le sottoscritte Associazioni, impegnate da sempre nella tutela e valorizzazione dei patrimoni naturalistici, paesaggistici e storico-culturali del territorio delle Dolomiti, si rivolgono a Lei nella veste di Presidente del Comitato Olimpico Nazionale per esprimere la loro posizione rispetto alla manifestazione di interesse alla candidatura a ospitare i Giochi Olimpici Invernali del 2026 da parte della Città di Cortina con il coinvolgimento di tutto il territorio dolomitico, che ha ottenuto il sostegno della Giunta Regionale Veneta.

La maturazione di questo loro comune parere motivato è stata raggiunta dopo essersi confrontate tra di loro ed aver valutato la questione, con particolare riguardo ad alcuni importanti aspetti di questa eventuale candidatura poco o nulla dibattuti né considerati dalle istituzioni e dall’opinione pubblica.
Gli aspetti presi in considerazione, in modo documentato e non preconcetto, la posizione sopra espressa si possono riassumere nei seguenti punti:

1. La disponibilità solo marginale, e secondaria ad altri, di Bolzano fa riflettere
La massima parte del territorio dolomitico ‘patrimonio dell’umanità’ (UNESCO) è ripartita tra le province di Bolzano e di Belluno. Per questo, il fermo rifiuto pronunciato dalla Giunta Provinciale altoaltesina alla proposta Veneta di formulare una candidatura per le Olimpiadi invernali 2026 comune e condivisa tra le due amministrazioni e intestata all’intero territorio dolomitico, e la secondaria disponibilità a solo appoggiare eventuali candidature di regioni confinanti, come appunto il Veneto, fa molto riflettere.
Bolzano si tiene libera da qualsiasi obbligo di logistica complessiva, non assume alcun impegno di fronte al Comitato Olimpico Internazionale (CIO), e si riserva la libertà di scegliere successivamente, fior da fiore, solo qualche singolo evento sportivo a cui offrire l’ospitalità.
In pratica si riserva di ricavare da singole discipline sportive (e dal relativo impianto) il massimo del beneficio in promozione di immagine e di attrezzamento sportivo-turistico, lasciando che siano altri a impegnarsi di fronte al CIO per quello che evidentemente ritiene inaccettabile per i propri territori e cittadini, ovvero per gli impegni gravosi e ineludibili di soddisfare le esigenze, necessità e pretese del CIO per l’intera organizzazione dell’evento e in particolare per gli oneri di logistica generale e degli eventi di massa.

2. l’impegno capestro del ‘contratto’ con il CIO della città ospitante
In effetti gli impianti per le competizioni costituiscono la parte minore, ancorché più qualificante e in molti casi effettivamente appetibile da parte di molte amministrazioni, dei ben più vasti e onerosi impegni organizzativi che invece si assume in primis e sui propri territori solo l’amministrazione che promuove una propria candidatura.
Infatti, come abbiamo potuto accertare, e certo Lei ben sa, l’indicazione della città sede principale e quindi denominativa di una completa edizione dei Giochi Olimpici non è infatti solo etichetta di immagine e nemmeno solo il baricentro geografico delle molteplici località di competizione: è invece e soprattutto l’individuazione e proposizione ufficiale dell’istituzione che, se non unica comunque prima, di fronte al CIO si dichiara disponibile a impegnarsi direttamente e in toto (pur col supporto delle istituzioni centrali) per ognuna delle esigenze, necessità e pretese del CIO.
In particolare questo è vero per le esigenze logistiche generali, che costituiscono il carico più massiccio e costoso, e spesso più critico, degli impegni che vengono irreversibilmente formalizzati con l ‘‘Host city contract’ (art 33 Carta Olimpica), ovverosia quel formale Contratto che, nei pochi e parziali casi di cui abbiamo avuto evidenza e documentazione pubblica, risulta essere, in buona sostanza, un contratto capestro, con il quale il CIO detiene il manico del coltello e la città ospitante può stringerne solo la lama, subordinandosi alle richieste del CIO quand’anche contrastanti con altri suoi preesistenti programmi e piani locali e addirittura anche nemmeno prefigurate, ovverosia “in bianco” (vedi artt. 2 e 3 del ‘contratto’ di Torino con il CIO-IMGA per i Giochi Europei Master dell’estate 2019).

3. Le dimensioni ormai gigantesche degli ultimi Giochi Olimpici Invernali
Ora, inevitabilmente, la criticità maggiore dei Giochi olimpici anche invernali riguarda proprio tali esigenze logistiche generali, la cui risposta non può essere distribuita nel territorio (come invece è possibile per i singoli impianti di competizione) ma va reperita in modo aggregato.
E la criticità deriva dal fatto che anche le Olimpiadi invernali hanno attualmente raggiunto dimensioni che, rispetto a quelle delle edizioni storiche ma finanche di qualche decennio fa, risultano gigantesche: ricordiamo che nelle ultime 3 edizioni sono stati quasi 3.000 gli atleti gareggianti, seguiti da altrettanti 3.000 preparatori, allenatori e tecnici delle stesse squadre nazionali; e oltre 1.000 sono stati i commissari e tecnici CIO; in pratica si è trattato di 6-7.000 persone, già solo di ‘addetti olimpici’ (Istituzionalizzati CIO).
A essi vanno aggiunti tutti gli operatori ‘media’ (stampa, tv, web, fotografi) ufficialmente accreditati: a Torino erano oltre 5.000, ma nel 2010 a Vancouver già 10.000 e a PyeongChang addirittura 14.000 (quasi 5 operatori per atleta), anch’essi da alloggiare e poi da supportare con una grande e speciale struttura di servizio operativo (media/press Center, di grande impegno tecnologico e di telecomunicazione).
Quindi già i soli operatori istituzionali/professionali di provenienza estera (o comunque riconosciuti e accreditati dal CIO), ammontano a non meno di 10.000 persone (come a Torino) potendo però facilmente arrivare fino a 15-20.000 (come è stato nelle ultime due edizioni); a questi si aggiungono gli operatori ‘interni’ professionali (tecnici agli impianti e alle sedi, addetti alle diverse sicurezze, altri operatori speciali e tutti gli inservienti di vitto e alloggio olimpico, parte dei quali a loro volta da sistemare in ricettività specifica) e i “volontari” di supporto (logistica, informazioni, assistenza, ristoro, spettacoli, …) sia agli atleti che agli spettatori (anch’essi numerosi: a PyeongChang i volontari in servizio durante i giorni ufficiali dei Giochi erano oltre 15.000), anch’essi, in larga parte, da ristorare e alloggiare in apposite strutture, per quanto essenziali e collettive e magari temporanee).
E non vi è motivo di pensare che le prossime edizioni dei Giochi Invernali vedano diminuire queste dimensioni complessive. Questo perché il CIO innanzitutto ha riconosciuto definitivamente, (Risoluzione n 10 dell’Agenda Olimpica 2020, adotta nel 2014), come tetto massimo di atleti, il numero di 2.900 (senza alcuna spinta o auspicio di sensibile riduzione dagli attuali numeri -riduzione che peraltro sarebbe inconcepibile oltre che impraticabile, data l’opposta tendenza all’aumento dei numeri sia delle discipline che delle partecipazioni nazionali-, quindi consentendo tranquillamente quantomeno la reiterazione dei numeri di atleti delle ultime edizioni), conferma a cui ha affiancato un’indicazione di moderato contenimento solo degli allenatori e tecnici delle delegazioni nazionali (fissandone il numero massimo a 2.000).
Indicazioni nel complesso timide, e che comunque non hanno sortito, peraltro, nell’edizione di PyeongChang, a 4 anni dalla loro emanazione, alcun effetto (ad oggi le statistiche provvisorie riferiscono di 102 ‘eventi’ di competizione con un complessivo di 6.500 partecipanti atleti + allenatori/tecnici+ Commissari), confermando l’ipotesi che permanga forte per queste due ultime categorie la tendenza a rimanere proporzionali agli atleti se non addirittura a crescere piuttosto che il contrario, dato il sempre crescente livello e impegno tecnico delle discipline e degli atleti, e l’ampliarsi costante del loro assortimento, entro un numero massimo di ‘eventi’ fissato assai alto (100), anch’esso quindi senza alcuna intenzionalità di riduzione rispetto al numero attuale).
Ma le dimensioni complessive degli operatori olimpici (delegazioni nazionali, CIO e media) non caleranno comunque, soprattutto per la rilevata tendenza a crescere in assoluto, in modo fortemente più che proporzionale, degli operatori ‘media’ (per la sempre più estrema ‘mediatizzazione’ delle competizioni, con un crescente copertura di tutti gli eventi (e della vita quotidiana dei villaggi) e della diffusione planetaria (tendenza graditissima e alimentata dallo stesso CIO (1).
Infatti, su questi numeri sono gli impegni e i programmi anche per i prossimi Giochi Invernali di Pechino del 2022; e è per questi numeri che, anche nelle successive edizioni, andrà garantita la sistemazione di alloggiamento.
Numeri che definiscono dimensioni di domanda ricettiva veramente massive, per rispondere alla quale si rende necessario uno sforzo di attrezzamento ricettivo inusitato (2), che raggiunge le dimensioni di capacità insediativa di importanti espansioni urbana, o di grandi interventi di rigenerazione urbana (3). Per altro, anche nelle ‘contenute’ (rispetto a quelle delle ultime edizioni) dimensioni ricettive raggiunte a Torino, si è trattato, con un riferimento al caso in questione, di dimensioni complessive, ancorché transitorie, pari a circa il doppio degli abitanti dell’intero Comune di Cortina, richiedenti una capacità ricettiva di un villaggio almeno quattro volte più grande del villaggio turistico ex Eni di Borca; e nei recenti Giochi di PyeongChan quelle dimensioni di partecipanti sono pressoché raddoppiate.

4. L’imposizione CIO del Villaggio Olimpico (unico, o al più in due sedi).
Sappiamo che molteplici sono i motivi per i quali il CIO non ammette per il ‘villaggio olimpico’ (per atleti e relativi allenatori/tecnici, e commissari CIO) la diffusione in strutture promiscue nel territorio, e anzi pretende che sia del tutto accorpato ed esclusivo (con accesso riservato).
Motivi che, di per sé, possono risultare anche largamente condivisibili:
– idealità di comunità olimpica,
– protezione della tranquillità e concentrazione degli atleti (e dei propri tecnici al seguito),
– garanzia di standard qualitativi omogenei,
– evidenti praticità logistiche
– e sempre più, anche le esigenze di sicurezza (security).
D’altro canto, proprio nel medesimo periodo la ricettività diffusa del territorio impegnerebbe tutta la sua ordinaria capacità per la sistemazione dei turisti spettatori, rimanendo quindi indisponibile per l’organizzazione olimpica.
Sta di fatto che il CIO pretende (art. 38 della Carta Olimpica) per l’intero ammontare degli ‘addetti’ CIO (team atletici e commissari) un unitario “villaggio olimpico” residenziale, tutt’al più ripartibile, come ormai da quattro edizioni, in non più di due località (una ‘di città’, in pianura, per gli sport ‘sul ghiaccio’; e l’altra ‘di montagna’, per gli sport sulla neve o comunque di discesa: bob, .. (4)). Villaggi che ovviamente devono comprendere non solo camere ma anche spazi e attrezzature comuni e di ritrovo-svago, palestre di mantenimento e ambulatori-laboratori per i medici sportivi, depositi e officine per le preparazioni dei materiali, e non ultimi sedi e uffici dello stesso CIO e delle singole Federazioni internazionali. Il tutto attrezzato a dovere (strade, energia elettrica e gas, acqua, fogne e depurazione, riscaldamento, piazzali e mezzi di trasporto …).
E, già si ricordava sopra. nelle due ultime edizioni dei Giochi la medesima organizzazione olimpica ha fornito anche unitaria sistemazione ricettiva a tutti gli operatori media accreditati, in uno o due Villaggi Media, nelle medesime località del/dei villaggio/i degli atleti (e anzi ad essi fisicamente vicini se non addirittura contigui (5)) e del Centro Media (e anch’esso/i, come il Villaggio Olimpico, ad accesso esclusivo e protetto, e con la medesima omogenea cura di servizi anche logistici di loro supporto).
Per l’ordine di grandezza delle quantità richieste, e per le necessità tecniche e gestionali sopra accennate, è quindi inevitabile (e praticato ormai da numerose edizioni dei Giochi) che l’intera domanda di ricettività per gli addetti CIO (atleti e relativi tecnici, e commissari CIO), come anche quella più recentemente garantita per gli addetti media accreditati, trovi corresponsione pressoché esclusivamente in complessi edilizi appositi totalmente di nuova costruzione (6), costituendo quindi capacità insediativa totalmente aggiuntiva agli stock preesistenti, e che una volta terminati i Giochi (anche quelli Paralimpici, di poco successivi a quelli Olimpici tradizionali) viene a trovarsi totalmente inutilizzata, e alla quale tutta è necessario, oltre che opportuno, garantire in brevissimo tempo un nuovo effettivo e completo utilizzo.

5. L’incompatibilità di tale complessiva dimensione ricettiva con qualsiasi città o centro abitato delle Dolomiti
Per le massive dimensioni sopra ricordate, invece, una volta terminati i Giochi non solo Cortina ma nessun centro abitato dell’intero territorio delle Dolomiti potrebbe in un tempo relativamente breve assimilare, con un completo riutilizzo e senza traumi, una tale complessiva capacità ricettiva aggiuntiva, nemmeno se ripartita con un’altra località.
Anche così dimezzata (per una capacità teorica di 3.-4.000 abitanti), una tale massiccia, improvvisa e concentrata espansione urbana, nel quadro delle limitate consistenze insediative e socio-economiche (per quanto importanti) di Cortina (e ancor più di ogni altro minore centro dell’area dolomitica), sarebbe in grado, teoricamente, di raddoppiare istantaneamente la capacità insediativa preesistente in loco.
Tuttavia, in concreto, applicando i valori di mercato preesistenti, essa si incrocerebbe con una domanda immobiliare di nuove residenze (anche turistiche) assai contenuta, capace di assimilare al più solo una frazione modesta di quella nuova ricettività, lasciando la massima parte inutilizzata, e con rapidamente crescenti difficoltà di tutela, manutenzione, e finanche in sicurezza.
Se poi, invece, tale quantità aggiuntiva, per garantirne un veloce smaltimento e una effettiva ricollocazione, venisse immessa sul mercato rapidamente e a prezzi di realizzo, gli effetti sarebbero deflagranti non solo sul mercato immobiliare locale ma anche sulla locale economia turistico/alberghiera e sull’urbanistica dell’intero comune; e se poi tale mole edilizia venisse anche effettivamente utilizzata per nuova residenzialità, l’effetto con quelle dimensioni sarebbe dissestante anche sulla locale struttura sociale e socio-culturale.
Peraltro, per le capacità richieste e sopra indicate ancor prima di quegli effetti sarebbero intollerabili gli impatti di diverse decine di ettari di consumo di suolo (7) -ormai sempre più scarso- e altrettanto intollerabile lo stupro urbanistico di un’edilizia, che, per conseguire quella capacità senza estensioni planimetriche inaccettabilmente vaste (oltretutto particolarmente difficili nella impegnativa orografia dei contenuti fondovalli montani), raggiungerebbe comunque una densità edilizia complessiva ben più elevata del contesto, e quindi con dimensioni unitarie e trama comunque ancora estranee e inconciliabili rispetto alla dimensione minuta e delicata dei centri abitati, tutti storici, dell’intera area dolomitica.
E la sostenibilità non sarebbe raggiunta, comunque, nemmeno con uno o più villaggi di ‘casette di legno’, singolarmente proporzionate e del tutto ‘smontabili’ (come da taluni ipotizzato): quanto suolo si dovrebbe sistemare, urbanizzare, attrezzare per posizionare almeno 1.000 casette di legno? e con quali modalità (e costi) di smaltimento e ri-naturazione globale?

6. Un nuovo stadio da demolire alla fine dei Giochi?
Analoghe irresolubili incompatibilità, in un territorio di insediamenti sparsi di dimensioni minute e impegnativa orografia, troverebbe pure il grande impianto per le cerimonie di apertura e chiusura dei Giochi (anch’esso sempre preteso dalla Carta olimpica del CIO, art. 55); negli ultime edizioni dei giochi, sono stati di capienza tra i 30 e i 50.000 spettatori, e con una grande arena centrale; un impianto quindi di dimensioni e caratteristiche del tutto inconferenti con le effettive esigenze di qualsiasi centro dolomitico, che dopo l’olimpiade rimarrebbe inevitabilmente inutilizzabile (anche se fosse presso un capoluogo provinciale dolomitico) e nient’altro che da disfare, con grande spreco (di risorse, di impegni progettuali e amministrativi, ma anche di suolo, che rimarrebbe alterato per sempre).

7. Una esiziale questione ‘di scala’
Quanto sopra considerato fa emergere una irresolubile criticità ‘di scala’ , ovvero la evidente e comunque ingovernabile ‘sproporzione’ tra le dimensioni comunque massicce degli interventi e delle attività necessari e costitutivi di una edizione di ‘Giochi Olimpici’, così come si sono ‘evoluti’ in questi ultimi decenni, e le caratteristiche socio-economiche, insediative e paesaggistiche di un territorio di insediamenti distribuiti storicamente stabilizzati, di dimensioni sempre contenute e complessivamente di alto pregio sia architettonico/testimoniale sia urbanistico, del tutto impossibilitato ad assimilare a se stesso fenomeni di trasformazione quali quelli di una contemporanea dimensione dei Giochi Invernali, se non compromettendo del tutto le sue proprie caratteristiche e valenze.
In altre parole, il ‘grande evento’ olimpico non risulta in alcun modo inseribile in un territorio di conformazione topografica e trama storico/insediativa minute, pregiate e delicate quale quello delle Dolomiti.
Si potrebbe dire, in altre parole, che un ‘grande evento’, che si voglia e debba essere veramente tale, appare potenzialmente ammissibile (e con qualche possibilità di effetti complessivi positivi), solo in ‘grande territorio’, fisicamente e demograficamente, e con intense dinamiche di evoluzione demografico-economico-urbanistiche.
Non che questa ‘proporzionalità’ significhi automaticamente compatibilità e sostenibilità dell’intervento ‘grande’ purchessia; per quest’ultime sono infatti da considerare e valutare, qualitativamente nel merito, tutte le caratteristiche e le dinamiche complesse naturalistiche, ambientali, paesaggistiche, sociali e culturali, le caratteristiche del progetto e le modalità con cui esso entra con quelle in relazione, e ciascuno di questi aspetti può fornire argomenti serrati per concludere con altrettanto forti motivi per una inopportunità e quindi bocciatura della proposta.
Ma rispetto a quelle, la condizione di ‘proporzionalità di scala’ appare quasi un pre-requisito di ammissibilità, in assenza del quale nemmeno pare concepibile alcuna possibilità di compatibilità e quindi inutile ogni ulteriore esplorazione delle concrete condizioni e circostanze di ulteriore merito (di progetto e di contesto).

8. L’ormai costitutiva inconciliabilità di tale modello di Giochi Olimpici con il territorio dolomitico
Riassumendo, l’evento è stato proposto come “sostenibile” perché “senza nuovo cemento” visto che nell’insieme aggregato dell’intera area, gli impianti necessari per le diverse competizioni olimpiche si diceva che già ci sarebbero tutti.
Ci sembra però evidente che, per quanto sopra esposto e considerato, a risultare ormai del tutto inconciliabili con un territorio e un tessuto insediativo minuto e sparso in molte e strette valli, come quello delle Dolomiti, sono proprio le caratteristiche più tradizionalmente tipiche, ma oggi cresciute a dimensioni gigantesche, del grande evento “Olimpiadi invernali”.
E questo, come abbiamo sin qui ragionato, non tanto per le molte discipline e i molti impianti di gara (sui quali si sono concentrate le immediate attenzioni e preoccupazioni anche dell’opinione pubblica e della stampa), quanto piuttosto per la totale concentrazione di alcune funzioni, attività servizi e momenti di spettacolo, in unico breve periodo e in uno stesso luogo, funzioni, attività e momenti connaturalmente ‘massivi‘ e che il CIO ritiene esplicitamente e ufficialmente fondativi, identitari e irrinunciabili.
E che comportano inevitabilmente altissime concentrazioni di domande di ricettività per l’intero periodo (il villaggio e le sedi per tutti gli addetti olimpici internazionali), e per gli impianti di spettacolo di grandissima capienza necessari per le cerimonie e spettacoli dei momenti iniziale e finale. Questi impianti, nel caso del tessuto insediativo e turistico delle Dolomiti, produrrebbero grandi e non riducibili né rimediabili impatti di costruzione e paesaggistici, e poi risulterebbero del tutto inutili e sproporzionati rispetto alle dimensioni e dinamiche insediative e turistiche dei restanti periodi anche di ‘alta stagione’, una volta terminati i Giochi.
Non va poi trascurato il tema della viabilità e della mobilità che, date le caratteristiche del territori dolomitico, comporterebbe problemi logistici di non facile soluzione.

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Concludendo, dai dati e dalle considerazioni sopra esposti ci pare emerga in modo inesorabile che, per come tuttora il CIO continua a intendere i Giochi Olimpici invernali, ovverosia senza alcuna prospettiva di radicale ripensamento sia qualitativo sia dimensionale nemmeno a medio-lungo termine, nel territorio dolomitico, la cui bellezza e importanza “per l’umanità” sono pari solo alla sua fragilità, nessun tipo di sede Olimpica (né unipolare né multipolare; né interna né ai suoi margini), possa ormai risultare praticabile e quindi ammissibile.

Associazioni:
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