Carovana dei ghiacciai Legambiente, monitoraggio Marmolada
Pubblicato on 30/Ago/2020 in NewsDal Gazzettino del 30 agosto 2020
Marmolada moribonda, lite al capezzale
L’ALLARME – È come un paziente terminale, in terapia intensiva. Gravissimo e in continuo peggioramento. Ma, soprattutto, senza che ci sia una terapia efficace per evitare l’agonia e dargli una speranza. Il ghiacciaio della Marmolada sta morendo, come dimostra il monitoraggio di Legambiente nella quarta tappa della Carovana che sta viaggiando per raccontare le conseguenze dei cambiamenti climatici sull’habitat glaciale alpino e promuovere iniziative di tutela delle montagne. Secondo gli ambientalisti in poco più di un secolo, cioè tra il 1905 e il 2010, ha perso più dell’85% del suo volume, lo spessore della sua fronte si è ridotto a pochi metri e, di conseguenza, nel giro di 25-30 anni potrebbe addirittura scomparire.
I risultati dello studio sono stati resi noti dagli ambientalisti durante un incontro che si è svolto a Malga Ciapela, nel Comune bellunese di Rocca Pietore, al quale hanno presenziato Luigi Lazzaro e Vanda Bonardo, rispettivamente presidente e responsabile Alpi di Legambiente, Marco Giardino e Aldino Bondesan, del Comitato Glaciologico italiano e Mauro Valt di Arpa Veneto.
LA NOVITÀ Il dato emerso dall’analisi è che l’evoluzione negativa ha subito un’impennata significativa. «Nell’ultimo decennio – sostengono gli esponenti di Legambiente – si è assistito a un’accelerazione dei fenomeni della fusione glaciale e la tendenza che sino al 2000 consentiva di prevedere un esaurimento nell’arco di un secolo, si è invece modificata, tanto da far presagire la scomparsa del ghiacciaio entro i prossimi 20, o 30 anni. Nel corso delle osservazioni sono stati considerati gli effetti di valanghe, crolli e colate detritiche rapide, conseguenza anche dei fenomeni atmosferici estremi che hanno colpito la regione dolomitica».
Ancora più drastiche le contromisure suggerite: «Le rigorose previsioni degli esperti sulla repentina scomparsa del ghiacciaio della Marmolada – osservano – dovrebbero indurre a scelte innovative di sviluppo locale con forti azioni di mitigazione e adattamento per il turismo invernale, come per tutti gli altri ambiti».
Una tesi, però, che manda su tutte le furie Andrea De Bernardin, primo cittadino di Rocca Pietore. «Mi devono spiegare – ha tuonato – come la presenza dei turisti possa incidere sulla scomparsa del ghiacciaio. Sarebbe come se io adesso dicessi che gli esponenti di Legambiente, salendo in funivia, hanno contribuito ad accalcarlo ulteriormente, danneggiandolo. La verità è che non si possono dare colpe a loro, come loro non le possono attribuire agli ospiti che arrivano da fuori magari per salire in cima a scattare delle foto. Se il comportamento dei turisti è corretto, non incide sulla morfologia della montagna e neppure sul destino del ghiacciaio stesso». «Penso poi – ha detto ancora il sindaco – agli impianti di risalita accusati di tutte le malefatte possibili, ma mi chiedo: è più impattante una funivia, o una fila di condomini a fondovalle? A Rocca Pietore abbiamo 600 famiglie e 2mila abitazioni, dimostrazione evidente di una speculazione edilizia. E se chiudiamo i passi dolomitici, dobbiamo realizzare dei parcheggi, sempre a fondovalle. In tutto questo, francamente, non vedo proprio quali siano i vantaggi per la montagna. Al convegno, comunque, sono state dette anche cose intelligenti come il fatto che, dato che il cambiamento climatico potrebbe portare variazioni, è bene iniziare a pensare a un piano B turistico e idrogeologico. Di recente ci sono stati eventi preoccupanti, di cui Rocca Pietore è stata testimone. Non dobbiamo dimenticarcene».
GLI ESPERTI – Mauro Varotto, professore associato al Dipartimento di Scienze Geografiche dell’Università di Padova, analizza invece la situazione dal punto di vista scientifico. «Dal 2005 – ha annotato – vediamo un’accelerazione vistosa nella riduzione dello spessore del ghiacciaio. Il primo motivo è che fa sempre più caldo e il secondo è che arretra anche perché ha esaurito il suo volume e quindi inizia a erodere la superficie. Non sono, quindi, soltanto le alte temperature a determinare tale collasso e quando lo spessore è inferiore a 1-2 metri, l’arretramento si evidenzia di anno in anno. Abbiamo dei punti fissi per i monitoraggi, con dati che si diversificano. In alcuni, negli ultimi anni è andato indietro addirittura di 30 metri».
Quanto all’ipotesi degli ambientalisti che il turismo possa avere inciso negativamente, il docente è netto: «Il ghiaccio si sta riducendo e morirà presto, ma la colpa non è degli sciatori, piuttosto dell’industria sciistica che è dissipatrice, come documentato da diversi dossier. I fondi pubblici andrebbero utilizzati per trovare alternative diverse al divertimento estivo in montagna, senza, per esempio, voler creare a tutti costi le piste innevate quando ci sono 20 gradi e la neve bisogna andarla a prendere sulla vetta. Infine, sulla Marmolada ci sono 50mila metri quadri di teli che conservano appunto la neve estiva: sono una protezione che salva la pista invernale, ma non diciamo che salvaguardano la montagna».
Nicoletta Cozza
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Dal Corriere delle Alpi del 29 agosto 2020
Il ghiacciaio della Marmolada ha perso l’85% del suo volume in un secolo
E’ il risultato del monitoraggio effettuato nella quarta tappa della Carovana dei ghiacciai di Legambiente sulla Marmolada, tra Veneto e Trentino Alto Adige
BELLUNO. Il ghiacciaio della Marmolada sta morendo. E’ il risultato del monitoraggio effettuato nella quarta tappa della Carovana dei ghiacciai di Legambiente sulla Marmolada, tra Veneto e Trentino Alto Adige.
Tra il 1905 e il 2010, il ghiacciaio ha perso più dell’85% del suo volume e lo spessore è passato da 50 a pochi metri. Nell’ultimo decennio si è assistito ad una accelerazione dei fenomeni della fusione glaciale e la tendenza che sino al 2000 consentiva di prevedere un esaurimento nell’arco di un secolo si è successivamente modificata, tanto da far presagire la scomparsa del ghiacciaio entro i prossimi 20 o 30 anni.
Nel corso delle osservazioni sono stati osservati gli effetti di valanghe, crolli e colate detritiche rapide, risultato della recente denudazione dei versanti e dei fenomeni atmosferici estremi che hanno colpito la regione dolomitica.
“Le rigorose previsioni degli esperti sulla repentina scomparsa del ghiacciaio ora più che mai dovrebbero indurre a scelte innovative di sviluppo locale, con forti azioni di mitigazione e adattamento per il turismo invernale come per tutti gli altri ambiti”, dice Legambiente, che ha presentato i risultati a Malga Ciapela, nel Comune di Rocca Pietore (Belluno), nel corso di una conferenza stampa con Vanda Bonardo, responsabile Alpi Legambiente, Marco Giardino e Aldino Bondesan del Comitato glaciologico italiano, Luigi Lazzaro, presidente Legambiente Veneto, e Mauro Valt di Arpa Veneto.
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Dal Corriere delle Alpi del 23 agosto 2020
Profondi crepacci sul ghiacciaio della Marmolada
Sono caduti gli ultimi ponti di neve. L’esperto dell’Arpav Valt: «Sono molto pericolosi, occorre prestare grande attenzione»
ROCCA PIETORE Le alte temperature di questi giorni hanno sciolto anche l’ultima neve sul ghiacciaio della Marmolada. Si sono liquefatti i ponti sopra i crepacci e le voragini hanno adesso aperture che spaziano ben oltre le due, tre spanne, come spesso accade, arrivando perfino a 5-6 metri.
«Si contano a decine e sono molto pericolose per gli escursionisti che salgono ai bordi privi delle attrezzature necessarie e di un’adeguata preparazione» avverte Mauro Valt, glaciologo del Centro antivalanghe di Arabba. È un niente scivolare dentro». Le profondità variano, fino a 4-5 metri di media, e in alcuni casi arrivano fino a 10-15 metri.
Il rifugio Pian dei Fiacconi è la base di partenza per salire a Punta Penia, attraversando appunto il ghiacciaio. È qui che l’escursionista calza i ramponi, quando se li porta appresso, e libera dallo zaino la piccozza. «Mi è capitato però di vedere dei tipi – ironizza il rifugista Guido Trevisan – che si mettono i ramponi sopra le scarpe da ginnastica. O altri che scendono con le scarpette da tennis».
Fino al 6 agosto, la coltre bianca dava copertura al ghiacciaio, in alcuni punti fino a 50 centimetri. Gli esperti stavano tirando un sospiro di sollievo perché il “grande malato” aveva potuto contare su un mese di giugno molto freddo e su metà luglio a temperature altrettanto basse. Se il termometro non si fosse alzato, la neve caduta in quelle settimane avrebbe tenuto.
«Dal 7 agosto, invece – constata amaramente Valt –, è scomparso ogni spessore e i raggi del sole hanno incominciato ad intaccare anche la parte ghiacciata».
Era dal 1990 che, stando alle statistiche dell’Arpav, l’inizio dell’estate non era così freddo ma in questi giorni si stanno raggiungendo temperature record che rischiano di creare danni irreparabili. Dai 3.343 metri di Punta Penia, la vetta più alta, Carlo Budel continua a lanciare allarmi quotidiani: «Da quando gestisco Capanna Penia – sottolinea –, non ho mai visto un ambiente così lunare. Il ghiacciaio scompare un pezzo al giorno e i crepacci si ampliano quotidianamente anche di decine di centimetri».
La pianura veneta (ma non solo) è in sofferenza idrica e lo si capisce proprio da quassù. «In un’annata di precipitazioni medie – spiega Valt –, il bacino del Piave può contare su 350-400 milioni di metri cubi d’acqua dati appunto dalla neve. Questa risorsa è garantita da 1. 800 chilometri quadrati di alta montagna sopra i 1. 900 metri. Il “serbatoio” della Marmolada ha un’estensione di 1, 6 chilometri quadrati, quindi, se facciamo un po’ di conti – continua Valt –, non garantisce granché. È un ghiacciaio ormai in esaurimento, che però merita di essere, per quanto possibile, tutelato».
L’agenzia Arpav lo monitora costantemente e quest’estate i suoi tecnici speravano davvero molto che la “consumazione” potesse rallentarsi. Nei prossimi giorni arriveranno anche i ricercatori di Legambiente per fare delle misurazioni e metterle a confronto con quelle di altre sedimentazioni glaciali. L’impressione degli esperti – da Maurlo Valt a Franco Secchieri ed altri glaciologi ancora – è che la Marmolada sia più fragile di altri siti, anche per la sua esposizione morfologica. «Agli appassionati che intendono salire fino in vetta raccomandiamo ovviamente la massima prudenza – sottolinea Trevisan –. Eventualmente in rifugio trovano quei supporti tecnici di cui devono essere necessariamente dotati per salire in sicurezza. Ma è meglio non azzardare se non si ha l’esperienza necessaria per attraversare placche ghiacciate».
Nel frattempo, negli ultimi giorni si è creato un problema in più: si è infatti “allungato” il salto tra il ghiacciaio e l’inizio della ferrata, proprio per la scomparsa della neve che faceva da scalino.
«È urgente che il percorso attrezzato venga allungato – fa sapere Budel –. Ho avvertito chi di dovere e spero che questa settimana sia aggiunto qualche scalino in modo che gli escursionisti non si trovino in difficoltà». Intanto, dall’altra parte del ghiacciaio, ai bordi della pista da sci che scende da Punta Rocca, maxi teli di nylon continuano a coprire gli accumuli di neve e ghiaccio che servono per garantire la sicurezza di quella che risulta la più lunga discesa delle Dolomiti, ben 12 chilometri.
Attualmente, il ghiacciaio della Marmolada – attestano le ultime misurazioni – ha un’altezza massima di 36 metri. E, secondo le previsioni, avrà un’esistenza ancora di 30 anni, non di più. A meno che non cambino radicalmente le condizioni climatiche. —
Francesco Dal Mas