Pfas: «Quarant’anni di veleni cancellati dalla prescrizione»
Pubblicato on 16/Set/2017 in NewsDal Corriere delle Alpi del 15 settembre 2017
Vicenza, lo rivela il procuratore Cappelleri in audizione alla Commissione ecomafie. Fine indagini? Non prima del 2021
Pfas: «Quarant’anni di veleni cancellati dalla prescrizione»
INVIATO A VICENZALa commissione parlamentare ecomafie torna in Veneto e riapre le indagini sull’inquinamento delle falde acquifere provocato dai Pfas, le sostanze perfluoroalchiliche di produzione industriale che hanno contaminato una superficie di 150 kmq, popolata da oltre centomila persone, che dall’epicentro dell’Alto Vicentino si estende alla Bassa Padovana e ai confini meridionali del Veronese. Una giornata intensa, quella dei commissari capitanati dal presidente dem Alessandro Bratti. Dapprima la trasferta a Trissino nello stabilimento di Miteni – la società indagata – con visita agli impianti, sopralluogo sull’argine esterno (dove sono stati rinvenuti i rifiuti tossici interrati) e osservazione del circuito di pozzi e carotaggi attivato nel sito.
Poi la fitta serie di audizioni in prefettura a Vicenza, culminata nell’intervento del procuratore della Repubblica, Antonino Cappelleri: «La vicenda Miteni, intesa come fonte “storica” dell’inquinamento in oggetto, richiede non soltanto un’iniziativa penale ma anche un intervento sul versante amministrativo di tutela della salute pubblica: ci siamo rivolti a specialisti accreditati ma attendiamo l’esito dell’indagine epidemiologica avviata dalla Regione che prevede tempi lunghi, nell’ordine di due anni… », le parole del magistrato; «I comitati locali lamentano ritardi giudiziari? Sono molto coinvolti sul piano emotivo e forse non colgono le oggettive difficoltà del rito penale, che esige certezze. Noi stiamo profondendo il massimo impegno».
I punti fermi dell’inchiesta? «La contaminazione ha avuto inizio negli anni Sessanta, nel sito di Trissino, ma in larga parte la prescrizione ha cancellato le responsabilità penali e civili. Noi stiamo indagando sui fatti avvenuti negli ultimi quindici anni e non ci limitiamo ai composti Pfas, prendiamo in considerazione anche altre sostanze». Miteni rischia la chiusura? «Mi sembra che tutte le categorie esprimano grande cautela in proposito nel timore di pesanti ricadute occupazionali. In ogni caso, le sanzioni accessorie seguono la sentenza penale e, se possibile, sono ancor più complesse».
Come dire: quarant’anni di veleni scaricati nelle falde (secondo i pm, il punto d’avvio risale ai tempi di Rimar, il centro di produzione e ricerche fondato da Giannino Marzotto) sono destinati a restare senza colpevoli.Le audizioni, si diceva. Una dozzina le associazioni comparse, con ampia rappresentanza di ecologisti e categorie produttive. Accenti fortemente preoccupati, misti a sdegno per la gravità dell’accaduto, le cui ricadute definitive restano per molti versi imprevedibili. «Siamo di fronte a ritardi e omissioni con rimpalli vergognosi tra ministeri, Governo e Regione», l’accusa di Luigi Lazzaro, il presidente di Legambiente Veneto «la verità è che dopo cinque anni la gente continua a bere acqua “poco inquinata” grazie ai filtri apposti alle reti idriche ma la fonte di questo disastro è lungi dall’essere debellata.
Anzi, le indagini del Noe hanno rivelato che gli episodi criminosi sono stati lungamente occultati alle autorità». «Nelle valli del Chiampo e dell’Agno, gran parte degli alimenti sono ancora contaminati», rincara Giovanni Fazio, medico di famiglia impegnato nell’Isde, un’associazione internazionale dei camici bianchi ambientalisti «mi riferisco a carne, pesce e anche uova: quelle sequestrate a Cologna Veneta contenevano 20 mila nanogrammi di Pfoa al chilo, contro un limite massimo consentito di 30, e non risultano proibizioni all’uso rivolte alle aziende dolciarie. Di questo passo la situazione, già grave, è destinata a peggiorare. Intollerabile l’immunità di cui gode Miteni».
Non bastasse, ad Arzignano sindaco e comitati stimano in 10 milioni nel quadriennio i costi del rifornimento di acqua potabile, attraverso autobotti o servizio porta a porta, sollecitato dalle famiglie della “zona rossa”.Conclusione, provvisoria, dI Bratti, l’entomologo ferrarese che presiede l’Ecomafie: «Sono emersi disagi e difficoltà, non soltanto sul versante igienico-sanitario ma anche nell’economia locale, come ci hanno segnalato coltivatori e allevatori. Persiste l’assenza di dati completi e la circostanza ci lascia perplessi visto che le analisi sui campioni di acqua e terreno sono state avviate oltre un anno fa». Nella tornata precedente, la commissione aveva formalmente criticato la lentezza della Procura vicentina… «È vero, in sede di relazione finale abbiamo segnalato una certa inerzia nelle indagini ma ora constatiamo con favore che la magistratura inquirente ha accelerato i tempi, c’è finalmente una ricostruzione storica utile sia a definire le responsabilità precedenti e attuali che ad impostare un’operazione di bonifica a vasto raggio. I colpevoli?
Non siamo giudici ma da ciò che abbiamo appreso sembra a Trissino, tra compravendite e nuovi assetti proprietari, quasi tutti sapessero tutto. Gli ignari di ciò che accadeva, ci è stato detto, erano ben pochi». Nel frattempo, la schermaglia a distanza tra Venezia e Roma non si placa… «È una polemica stucchevole, un segnale sbagliato. Io dico: chi deve mettere i soldi lo faccia, chi deve stendere i progetti, agisca. Le istituzioni devono muoversi come un corpo unico, al di là delle speculazioni politiche. Noi solleciteremo a tutti – Governo, ministeri, Regione – una forte assunzione di responsabilità. I cittadini hanno diritto a risposte rapide e concrete: fornirle è possibile, quindi diventa doveroso».
Filippo Tosatto