Suolo, paesaggio, energie rinnovabili
Pubblicato on 18/Dic/2022 in News“Signori, il principe sostiene che il mondo verrà salvato dalla bellezza” (da L’idiota di Fedor Dostoevskij)
SUOLO, PAESAGGIO, ENERGIE RINNOVABILI
di Schiavon Dante
Utilizzando le superfici cementificate, i tetti degli edifici di case, enti pubblici, attività commerciali, aziende, possiamo dare vita alle “comunità energetiche”, la cui disciplina è diventata operativa in Italia con la direttiva europea 2018/2001.
Le “comunità energetiche”, lo dice la parola, permettono a singoli cittadini, famiglie, aziende che vivono in un determinato territorio di associarsi avendo uno “status giuridico-economico” e utilizzare localmente l’energia elettrica prodotta e ricavata dalle superfici già artificializzate di loro proprietà.
Le “comunità energetiche” sono un’occasione imperdibile per rendere la produzione di energia più “democratica”, più “ecologica” e “risparmiare suolo agricolo”, insomma tutto il contrario di quello che potrebbe accadere con la diffusione di grandi impianti progettati su suolo agricolo dalle grandi compagnie multinazionali, che, guarda caso, sono spesso emanazione delle grandi compagnie del fossile. “No ai grandi impianti”, si alla “democrazia energetica” quindi, che, se attuata “massivamente”, può diventare quella che Jeremy Rifkin chiama la “terza rivoluzione industriale”. Bisogna assolutamente risparmiare “suolo agricolo” e non violentare il “paesaggio” e il suo valore estetico, storico e spirituale già compromesso in molte regioni italiane grazie ad un’urbanizzazione vandalica.
Non esistono, nell’oggi contemporaneo, in questa Italia e nell’Italia descritta e denunciata da Antonio Cederna, “paesaggi rinnovabili”. Se è vero che il paesaggio italiano è mutato nel corso di due millenni e che l’uomo e la natura ne hanno determinato il suo aspetto attuale, questo non significa che possiamo, incalzati dall’emergenza energetica, alterarlo ulteriormente senza prima fare uno sforzo, supportato da norme operative e legislative che lo accompagnano, nella ricerca di “soluzioni alternative”.
Equiparare, come fa Legambiente, le pale eoliche alle cattedrali gotiche o chiamare parchi eolici gli impianti eolici che sorgono sui crinali collinari o lungo la costa è una forzatura opportunista e tecnocratica, nel goffo tentativo di parificare il possibile intervento per esigenze energetiche dell’oggi alle opere artistiche create nel corso di due millenni dall’uomo giunte fino a noi e che, a fatica, si è riusciti a conservare.
Ma il paesaggio italiano ha anche subito, in due millenni, trasformazioni e “modifiche geomorfologiche” da parte dell’uomo: si sono ridotti gli spazi naturali e agricoli mentre sono aumentati gli spazi antropizzati e urbanizzati.
Il suolo è parte vitale del paesaggio, ne è componente essenziale e inspiegabilmente Legambiente, WWF e FAI, con una scorciatoia antropocentrica, vorrebbero vedere il suolo agricolo e naturale ospitare grandi impianti di energia rinnovabile gestiti da grandi compagnie multinazionali.
Secondo questa concezione antropocentrica ricoprire il paesaggio agricolo e naturale di pannelli al silicio e pale eoliche sarebbe il segno di una nuova e moderna estetica del paesaggio, una specie di corrente artistica che potremmo chiamare del “rinnovabilismo paesaggistico-climatico”: un modo isterico e irrazionale per rispondere al bisogno della “sicurezza energetica”.
L’uomo ha già rubato spazio alla natura modellando i territori con il cemento, alterando di grigio il paesaggio e ora vorrebbe occupare i suoli, le terre e i paesaggi agricoli residui rimasti, dimenticando, gravemente e colpevolmente, le funzioni “mitigatrici dei cambiamenti climatici” del suolo.
L’imperativo morale ed ecologico dovrebbe essere: prima interveniamo dove il paesaggio, ahinoi, lo abbiamo già “rinnovato” con capannoni, centri commerciali, poli logistici, migliaia di ecomostri sparsi per il territorio, strade, urbanizzazioni attuate nonostante il calo demografico, tutti interventi che hanno cancellato per sempre (altro che paesaggi rinnovabili) prati, bellezza, orizzonti, ecosistemi, biodiversità, sovranità alimentare. È un suicidio ecologico ignorare durante la “transizione energetica” i “servizi ecosistemici” del “suolo”, necessari, alla pari delle “energie rinnovabili”, alla “transizione ecologica”: assorbimento della CO2, dell’acqua meteorica, delle polveri sottili, della calura estiva, ecc. Servizi ecosistemici di cui abbiamo bisogno per la “vita biologica” e climatica durante e dopo la “transizione energetica”, alla pari della necessità delle energie rinnovabili e per questa ragione dobbiamo prima di tutto utilizzare le superfici ed i tetti privi di “funzioni ecosistemiche”.
E senza dimenticare uno dei tanti servizi ecosistemici del suolo naturale e agricolo legato al paesaggio: il soddisfacimento del bisogno di benessere, di bellezza, di spiritualità degli uomini che accettano di essere parte della natura.
L’emergenza energetica deve essere occasione per “riflettere” sulle modifiche del paesaggio che l’uomo ha già portato avanti, specie negli ultimi 70 anni, ma partendo dalle informazioni e dalle indicazioni dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), l’ ente di ricerca collegato al Ministero dell’Ambiente che nel rapporto Ispra 2020 indicava in 3500 km2 la superficie dei tetti degli edifici al di fuori dei centri urbani dove sarebbe possibile installare impianti fotovoltaici, utilizzando tra i 700 e i 900 km2 di tali superfici e che permetterebbero di raggiungere una produzione di energia pulita tra 59 e 77 GW, il doppio di quanto previsto dal Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima 2030 (PNIEC).
A questa potenza si potrebbe, senza aumentare il consumo di suolo, aggiungere quella installabile in aree di parcheggio, in corrispondenza di alcune infrastrutture, in aree dismesse o in altre aree impermeabilizzate.
Il verticismo di Legambiente, Fai, Wwf su questi temi con la loro posizione di apertura alle “rinnovabili senza se e senza ma” sta arrecando un grave danno a tutto l’ambientalismo italiano e a un futuro governato dalle leggi della natura e non dalla tecnocrazia.
Schiavon Dante, Gruppo di Intervento Giuridico