«Tra qualche anno monti senza ghiacciai»
Pubblicato on 4/Set/2017 in NewsDal Corriere delle Alpi del 3 settembre 2017
Al Fedaia gli esperti hanno indicato nei teli geotessili uno dei mezzi per difendere quel che rimane
«Tra qualche anno monti senza ghiacciai»
PASSO FEDAIA La nevicata che ieri ha imbiancato il Fedaia (e non solo), nel corso del dibattito “Marmolada: quale sorte per il ghiacciaio?”, è sembrata esorcizzare un futuro delle nevi perenni con la data di scadenza: «Tra qualche decennio, se non cambia qualcosa in termini meteo-climatici, le Alpi d’estate saranno “nude”». Così, ha affermato Claudio Smiraglia, professore (da poco in pensione) all’Università di Milano considerato il padre della glaciologia moderna e autore del più recente “Catasto dei ghiacciai italiani”, relatore all’incontro al rifugio Castiglioni al Fedaia con Christian Casarotto, glaciologo del Muse, Aldino Bondesan, docente di geomorfologia all’Università di Padova, e Fernando Brunel, presidente dell’Unione di Ladins de Fascia, moderati dal giornalista del Trentino Andrea Selva.
«Non possiamo che restituire questo scenario con i dati in nostro possesso, che nell’ultimo decennio hanno registrato l’accelerarsi della fusione dei ghiacciai, compreso quello della Marmolada: dal 1888, quando sono iniziate le sue misurazioni, ha perso il 70% della superficie originaria», ha continuato Smiraglia. Il professore ha anche indicato i problemi connessi alla perdita delle nevi perenni: riduzione delle risorse idriche, diminuzione delle geo-diversità, pericolosità della montagna e minore attrattiva dell’alta quota.
Ma il ghiacciaio delle Regina delle Dolomiti, di cui Fernando Brunel ha ricordato il ruolo nella storia e nella cultura fassana, negli ultimi cent’anni non ha ritirato solo i suoi fronti (centrale, orientale, occidentale) di 350 metri, si è pure spaccato facendo affiorare placche rocciose ed ha anche drammaticamente ridotto il suo spessore. «Nel 2004 si contava su 40 metri di spessore massimo che oggi si è dimezzato», ha precisato Bondesan che, oltre a elaborare i rilevamenti sui ghiacciai del Triveneto, sta compiendo studi sulla Città di Ghiaccio, ideata da Leo Handl sulla Marmolada durante la grande guerra.
Se all’epoca i soldati austroungarici scavarono 12 chilometri di gallerie (che ospitavano oltre 200 militari) fino a 50 metri di profondità, oggi quel che resta della calotta grigia (il colore è dato dal materiale detritico) priva del mantello nevoso va protetta. Uno dei metodi sono i teli geotessili, utilizzati in Marmolada o in Presena, efficaci secondo Smiraglia.
L’altro sono i nostri comportamenti consapevoli verso l’ambiente, che possono incidere sul global warming, tentando di consegnare i ghiacciai alle future generazioni. «L’assenza di ghiaccio non rappresenta solo un danno paesaggistico – ha spiegato Christian Casarotto – ci sono conseguenze idriche (compresa l’acqua potabile) ed energetiche. C’è poi una forte relazione tra il dissesto idrogeologico e la presenza dei ghiacciai che danno stabilità ai versanti. Non da ultimi, vanno considerati gli aspetti economico-turistici delle località dove insistono i ghiacciai».
Elisa Salvi